Le parole, le parole sono importanti e talvolta dovrebbero pesare come macigni sulla coscienza di chi scientemente le pronuncia, elargendole a piena voce in ogni dove, con scopo meramente personalistico (leggi un posto al sole in un seggio parlamentare, ad esempio). Quando le parole sono così divisive, dense di acredine e astio, viene da chiedersi non solo se esiste consapevolezza del danno procurato, ma se davvero si vuole un mondo migliore, magari cominciando dalla propria città.
Vado alla guerra, sarà un battaglia, batterò i pugni sul tavolo dell’Europa, ORA BASTA!, il terrorismo islamico qui in casa nostra, non permettiamo la sottomissione, non mollo e schiena dritta, vado a combattere…
Questo è solo un campionario di frasi che fanno molto male alla pacifica convivenza della nostra città, che avrà tanti problemi da risolvere, ma che non ha bisogno che venga attizzata l’ira, alimentando i risentimenti. Proclami che generano paura, disagio, diffidenza, perché distorcono la realtà, celano i reali problemi che affliggono Monfalcone, finiscono per mascherare gli insuccessi di questa amministrazione.
Si “ora basta” ma basta a muri che separano, basta a sguaiate urla che coprono l’incapacità di dialogare e la pessima gestione della città.
È giunto il momento di erigere ponti che colleghino le diverse realtà di Monfalcone, è arrivato il tempo del dialogo e dell’ascolto attivo sui reali bisogni dei cittadini. È giunto il momento di opporsi sia a inutili slogan che generano paure, sia all’arroganza di chi si crede presuntuosamente al disopra di tutto e tutti.
Abbiamo una grande occasione di ribaltare la cattiva novella narrata in questi otto anni, possiamo finalmente impedire che la cattiveria prevalga sul buonsenso, possiamo usare parole nuove e gesti semplici, per unire una città attualmente ferita e disorientata. Possiamo con ferma dolcezza ma perentoria determinazione, mandare a casa “i chi sa fa” i millantatori di iperbolici risultati, i dissipatori di beni pubblici in opere improbabili, i portavoce ubbidienti e supini ed i replicanti di maleducazione.
Possiamo credere in un piccolo miracolo e risvegliare chi nella nostra città e nel suo futuro, non crede più, possiamo farlo con un nuovo linguaggio e con meticolosa pazienza costruire un modello di città multiculturale e multicolore.
Possiamo farlo per dare una prospettiva migliore alle nuove generazioni e un sereno vivere a noi tutti.
Io ci credo e ci provo.